Storia del sartù, da novità di corte a grande classico della cucina partenopea
Il sartù di riso è sicuramente uno dei piatti tipici più amati e gustosi della cucina napoletana, ed è difficile immaginare la tradizione culinaria partenopea senza questo vero e proprio must. Ma quali sono le sue origini e la sua storia?
Incredibile ma vero, una volta il riso non era molto apprezzato a Napoli. Arrivato nelle stive delle navi aragonesi dalla vicina Spagna alla fine del XIV secolo, infatti, il riso veniva considerato dai napoletani poco gustoso e poco saporito, tanto da essere definito “sciacquapanza”. Addirittura, alla Scuola di medicina di Salerno, più che un alimento il riso veniva considerato una medicina, e veniva prescritto come cura per le malattie gastriche.
Il riso continuò a godere di scarsa considerazione, finché nel 1768 il re di Napoli e delle Due Sicilie Ferdinando I di Borbone prese come moglie Maria Carolina d’Austria.
La regina, poco abituata ai sapori della cucina napoletana, fece arrivare alla corte di Napoli i migliori cuochi francesi disponibili. I Monsù (napoletanizzazione del francese Monsieur) della Regina cercarono di rendere il riso più appetitoso per venire incontro ai gusti dell’esigente corte partenopea.
Realizzarono un timballo di riso e lo imbottirono di carne, uova sode, piselli e fior di latte e, immancabile a Napoli, pummarola a volontà. Ricoperto di pangrattato ed infornato, questo timballo veniva messo a centrotavola, in francese surtout: da qui il nome sartù, come oggi è noto.
Questa pietanza incontrò immediatamente il plauso di re Ferdinando, della regina e dell’intera corte, ed il sartù scalò rapidamente le classifiche dei piatti più amati sia dagli aristocratici che dal popolo, entrando di diritto nella tradizione della ricca cucina napoletana.
Grazie a questo piatto, anche il riso venne rivalutato, ed iniziò ad essere importato in abbondanza nel Regno ed addirittura esportato verso il Nord Italia, dove tutt’oggi rappresenta una delle colture principali.